Alla scoperta della Thailandia: prima tappa… Phuket!

Quattro aerei, sei ore di fuso orario, trentasette ore senza un letto vero. Il viaggio per raggiungere la prima tappa del nostro itinerario alla scoperta della Terra del Sorriso è stato infinito e sfiancante. La decisione di partire a ridosso delle vacanze natalizie, con conseguente aumento dei prezzi dei voli, ci ha obbligato a scegliere un percorso più lungo e meno comodo per arrivare in Thailandia. Venezia-Roma, Roma-Abu Dhabi, Abu-Dhabi-Bangkok, Bangkok-Phuket, con uno lungo scalo notturno negli Emirati Arabi per scoprire, per quanto possibile in una manciata di ore, ciò che la capitale di questo ricchissimo stato ha da offrire.

Forse proprio per questo tragitto così impegnativo le mie aspettative nei confronti delle perle del mare delle Andamane erano alte, altissime. Per mesi ho sognato tutto ciò che ero riuscita a scoprire documentandomi online, tra le pagine dei mille blog italiani e stranieri che seguo e tra gli infiniti account su Instagram dedicati a questi luoghi, e sui numerosi libri dedicati alle bellezze del mondo che possiedo. Tuttavia, arrivandoci, le mie aspettative sono state, almeno in parte, un po’ disattese. Sapevo che al sud del paese non avrei trovato la vera Thailandia, quella carica di bontà, di sorrisi, di spiritualità e misticismo che ho per fortuna potuto riscontrare altrove. Anche se avvisata a riguardo, non mi aspettavo di trovarmi di fronte a un turismo di massa di tale portata, a un’esasperazione e sfruttamento di tutto ciò che di bello questi luoghi hanno da offrire. Forse complice il tempo ballerino, questi luoghi non mi sono rimasti scolpiti nel cuore come altri che ho visitato, anche se, ovviamente, ci sono state alcune eccezioni… Ma andiamo con ordine!

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In partenza!

Finalmente è il primo giorno di viaggio e, dopo otto ore di sonno e relax in un’ostello molto carino (SoodSoi Hostel) nei pressi dell’aeroporto di Phuket, prendiamo un taxi che ci porta fino a Banana Beach, una delle spiagge considerate tra le più belle e sconosciute della zona. Phuket è diversa dal resto della Thailandia: i prezzi sono più alti e le fregature sono sempre dietro l’angolo, e infatti la corsa in taxi ci costa davvero un’occhio della testa (considerato che rimaniamo in auto per poco più di dieci minuti). Arriviamo alla spiaggia assonnati ma euforici all’idea di iniziare a scoprire e visitare e, soprattutto, di essere finalmente arrivati al mare: è il 29 dicembre, e siamo in spiaggia, in costume sotto un sole timido ma caldo, con più di 30°C. Raggiungere questa piccola lingua di sabbia bianca incastonata tra la fitta vegetazione e il mare limpido e pulito è un’avventura: dalla strada principale, infatti, è necessario percorrere un piccolo sentiero nel bosco, in discesa e molto scivoloso. Forse proprio per il fatto che il luogo non risulta così accessibile, o più probabilmente perché il cielo è poco invitante, in spiaggia non ci sono molte persone. Il posto è carino, anche se il mare non è cristallino come ci aspettavamo. Io e Isabella prendiamo il sole per qualche ora, mentre i ragazzi fanno il primo bagno nelle acque thailandesi, poi ci sediamo a un dei tavoli dell’unico baracchino che fa da ristorante. Il piatto forte è, neanche a dirlo, pesce grigliato. Scegliamo il nostro tra quelli freschi pescati da poco e contenuti in grandi vasche, e lo accompagniamo con il classico riso bollito: aspettiamo ad assaggiare i forti sapori dei piatti thailandesi, piccanti e speziati, perché non siamo ancora pronti dopo il lungo viaggio.

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Pranzo a Banana Beach.

Il pranzo è buono e, sazi e rilassati, torniamo ai nostri asciugamani per riposare ancora un po’ sotto il sole che sta finalmente sbucando tra una nube e l’altra. Verso le cinque ripercorriamo il sentiero per tornare sulla strada principale, dove il nostro tassista ci sta aspettando: avevamo concordato di trovarci in quel punto senza sperarci troppo, e invece siamo rimasti piacevolmente stupiti dalla puntualità e correttezza del simpatico thailandese. Torniamo all’ostello, carichiamo i nostri enormi zaini sul taxi e ci facciamo portare all’ostello che abbiamo prenotato per la nostra seconda notte: il Kookkai Hostel, a Patong Beach, uno dei luoghi più noti (e turistici) di a Phuket, soprattutto tra i backpackers. Questa località, più che per la bellezza del paesaggio, è nota per la vita notturna, per i tristissimi bar caratterizzati dalle ragazze che ballano sui tavoli con aria spenta e annoiata nella nota Bangla Road e per il turismo sessuale: tutto ciò che noi non stiamo cercando da questo viaggio, in quanto uscire e fare serata è l’ultima delle nostre priorità quando viaggiamo; la scelta di dormire qui è stata dettata dal fatto che domani partiremo per le isole Similan, e il trasporto da Patong costava meno che da altre località dell’isola. Dopo esserci sistemati nelle nostre stanze, spoglie ma accettabili, usciamo alla scoperta di Patong. L’ostello dista circa 2 km da Bangla Road, che percorriamo a piedi. Come sempre, rimango colpita di fronte alla sporcizia e alla povertà, che in qualsiasi posto del mondo mi sconvolge se paragonata alle condizioni a cui siamo abituati noi europei. I tralicci con una miriade di cavi attorcigliati, appesi malamente e, almeno all’apparenza, pericolanti. Qualche ratto tra i tanti sacchi di immondizie depositati sui marciapiedi delle strade. Piccoli ruscelli di acque reflue maleodoranti. Avvicinandoci alla via principale, il paesaggio cambia e i topi spariscono lasciando spazio a una miriade di turisti, che invadono le strade costeggiate da edifici illuminati a giorno con insegne di spettacoli, giochi e locali a sfondo sessuale. Per noi, che siamo alla ricerca di una Thailandia totalmente diversa, quello che vediamo appare triste e degradante, ma siamo comunque consapevoli che si tratta di un aspetto caratteristico della cultura e del turismo thailandesi.

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Patong

Passeggiamo per meno di dieci minuti lungo Bangla Road, poi ci rifugiamo in un mercatino di street food dove finalmente assaggiamo i nostri primi piatti thailandesi. A me e a Isabella non piacciono molto i sapori forti e decisi e, soprattutto, fatichiamo di fronte ai piatti piccanti, e per questo siamo un po’ preoccupate. I fried yellow noodles con uovo, verdure e pollo sono invece buonissimi e gustosi, non esageratamente piccanti. Soddisfatti, decidiamo di assaggiare anche degli spiedini di pollo ricoperti di una salsa che sembra teriyaki, ma questo piatto non ci lascia molto soddisfatti e non riusciamo a finirli. Dopo cena, facciamo un po’ di shopping tra le bancarelle mentre ripercorriamo la strada per tornare all’ostello, ci fermiamo in un 7 Eleven per comprare dell’acqua e qualche snack e torniamo nelle nostre stanze. Chiudiamo gli zaini e andiamo a dormire, siamo ancora stanchi per il viaggio, il jet lag e la camminata, e la sveglia domani mattina è impostata alle cinque e mezzo per la nuova tappa: le famose e paradisiache isole Similan.

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